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RSPP: rischio e responsabilità

Infortunio per la sostituzione delle cinghie di una macchina macina pneumatici

Cassazione Penale, Sez. IV, 29 marzo 2021, n. 11650

L’art. 69 comma 1 lett. b) del D. Lgs. n. 81/2008 definisce “uso di una attrezzatura di lavoro” qualsiasi operazione lavorativa connessa appunto ad una attrezzatura di lavoro, quale la messa in servizio o fuori servizio, l’impiego, il trasporto, la riparazione, la trasformazione, la manutenzione, la pulizia, il montaggio, lo smontaggio.

Ne consegue che il datore di lavoro ai sensi degli art. 17, 28 e 29 del D. Lgs. n. 81/2008 è tenuto a valutare non solo i rischi derivanti dall’impiego delle attrezzature di lavoro ma anche, tra l’altro, quelli conseguenti alle attività di manutenzione (ordinaria, straoridnaria, a guasti, predittiva, opportunistica, ecc.).

Proprio in relazione all’uso delle attrezzature di lavoro la Corte di Cassazione Penale è stata chiamata ad esprimersi rispetto ad una sentenza con la quale veniva confermata la pronuncia emessa dal Tribunale di Bergamo con la quale B.P. (RSPP) era stato giudicato colpevole del reato di lesioni personali colpose commesse in danno di F.J. e condannato al pagamento di 1.800,00 euro di multa e delle spese processuali.


Secondo la ricostruzione operata dai giudici di merito il 10.12.2011 il F.J., dipendente della XXX. s.r.l. stava procedendo alla sostituzione di due cinghie rotte della macchina macina pneumatici quando rimaneva incastrato con il mignolo della mano destra tra il rullo e la cinghia, riportando la sub-amputazione P3 del mignolo, dalla quale derivava una malattia guarita in un tempo superiore a quaranta giorni.

Al B.P., che nel contesto della XXX s.r.l. rivestiva la qualifica di Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione, è stato ascritto di non aver rilevato il rischio connesso alle operazioni di manutenzione della macchina macina pneumatici, ed in specie all’operazione di sostituzione delle cinghie, pur essenziale per il funzionamento dello stabilimento. In tal modo il B.P. era venuto meno ai suoi doveri di contribuzione tecnica alla valutazione del rischio e alla predisposizione di misure organizzative necessarie a fronteggiarlo.

Il RSPP propone ricorso per cassazione articolando vari motivi. Con il primo motivo lamenta la violazione degli artt. 28, comma 2 e 33 DEL d. Lgs. n. 81/2008. Secondo la difesa dell’imputato la Corte di appello non ha operato la doverosa distinzione tra le posizioni rispettive del datore di lavoro e del RSPP. Si contesta al B.P. non di aver omesso di segnalare al datore di lavoro le situazioni di rischio ma l'assenza nel DVR dell’indicazione di specifici rischi attinenti alla macchina macina pneumatici, pur non avendo esaminato il datore di lavoro, e quindi senza acquisire le prove in relazione ai suggerimenti forniti dal B.P. in osservanza dell’art. 33 del D. Lgs. n. 81/2008. Il ricorrente segnala che il suo ruolo era di mero consulente del datore di lavoro, privo di poteri decisionali e quindi della titolarità di una posizione di garanzia. Afferma che l’eventuale responsabilità del RSPP è ipotizzabile solo ai sensi dell’art. 113 cod. pen., in associazione alla responsabilità del datore di lavoro, allorquando l’evento infausto derivi da suggerimenti errati o dalla mancata segnalazione di un rischio da parte del RSPP. Nel caso di specie la Corte di appello non ha reso idonea motivazione in merito alla effettiva violazione dell’art. 33 del D. Lgs. n. 81/2008 operata dal B.P. e non c’è prova che questi non avesse fornito i suggerimenti necessari.

Con il secondo motivo segnala che la sentenza di condanna sostiene l’assenza di ogni valutazione circa i rischi connessi all’espletamento delle attività di manutenzione e per altro riconosce che l’attività di manutenzione era stata strutturata in tre fasi distinte. La Corte di appello omette di considerare che il DVR contemplava il soggetto cui compete l’intervento manutentivo e conteneva la valutazione del rischio della manutenzione. Segnala inoltre che la Corte di appello ha fondato la responsabilità del RSPP sulla base delle dichiarazioni di alcuni testi, nonostante dalle stesse non emerga che il RSPP suggerisse di tollerare una sorta di anarchia organizzativa, in contrasto con le prescrizioni del DVR. Dal compendio probatorio, ad avviso dell’esponente, emerge che le operazioni di manutenzione erano state assegnate al solo sig. P., che effettivamente le svolgeva in via esclusiva; la Corte di appello ha omesso di valutare le prove che depongono in tal senso.

Aggiunge ancora che la Corte di appello ha anche omesso di valutare quanto emerge dal libretto di manutenzione della macchina circa la sostituzione delle cinghie con cadenza annuale. Ne consegue che prima dell’infortunio, nel tempo dell’occupazione della persona offesa presso la XXX. s.r.l. (quattro anni), tale operazione era stata eseguita solo tre volte, sempre dal solo sig. P. Sicchè non si comprende in quale altra occasione il F.J. abbia eseguito l’operazione. Da ciò consegue l’abnormità della condotta dell’infortunato, che svolgeva esclusivamente mansioni di pulizia e tenne un comportamento esorbitante ed imprevedibile. L’imputato lamenta, ancora, il vizio di motivazione per non essere stata valutata l’assoluzione del datore di lavoro e ribadisce che il RSPP non può essere chiamato a rispondere direttamente ma solo in cooperazione colposa con il datore di lavoro. Con l’ultimo motivo si censura il vizio della motivazione in ordine al giudizio di attendibilità della persona offesa e all’affermato trasferimento agli operai del compito di decidere se intervenire in prima persona sulla macchina o richiedere l’intervento del sig. P.. Viene rilevato il contrasto tra le dichiarazioni del teste F.M. e quelle dei figli e le contraddizioni interne alle dichiarazioni di F.A. nonché l’omessa valutazione delle dichiarazioni del P. e del B.P. nella parte attinente alla circostanza che nessuna attività manutentiva era stata mai concessa agli operai. La Suprema Corte in via preliminare fa rilevare che per il reato ascritto al B.P. è decorso il termine massimo di prescrizione. Agli effetti penali pertanto la sentenza viene annullata senza rinvio. Ciò nonostante procede ad esaminare il ricorso dell’imputato vista la pronuncia di condanna dello stesso al risarcimento dei danni in favore delle parti civili in considerazione del fatto che in tema di declaratoria di estinzione del reato, l’art. 578 c.p.p. prevede che il giudice d’appello o la Corte di Cassazione, nel dichiarare estinto per amnistia o prescrizione il reato per il quale sia intervenuta “condanna, anche generica, alle restituzioni o al risarcimento dei danni cagionati”, sono tenuti a decidere sull’impugnazione agli effetti dei capi della sentenza che concernano gli interessi civili; al fine di tale decisione i motivi di impugnazione proposti dall’imputato devono essere esaminati compiutamente, non potendosi trovare conferma della condanna al risarcimento del danno (anche solo generica) dalla mancanza di prova dell'innocenza degli imputati, secondo quanto previsto dall’art. 129, co. 2 cod. proc. pen. (Cass. Sez. 6, sent. n. 3284 del 25/11/2009, Mosca, Rv. 245876).

La Corte di Cassazione non è d’accordo rispetto alle argomentazioni dell’imputato RSPP. Afferma che l’insegnamento delle Sezioni Unite indica nel RSPP un soggetto tenuto a prestare la propria opera (di supporto tecnico al datore di lavoro in rapporto alla valutazione dei rischi e alla connessa identificazione delle misure prevenzionistiche da adottare), che può essere chiamato a rispondere della sua attività ove svolta in violazione di regole cautelari e causalmente incidente sulla verificazione dell’evento tipico.

Ritiene manifestamente infondata l’affermazione del ricorrente secondo la quale gli sarebbe stato attribuito un dovere spettante unicamente al datore di lavoro. D’altro canto, tale affermazione è poi abbandonata dal ricorrente medesimo che, lamentando l’assenza di istruttoria prima e di motivazione poi in merito all’uso che il datore di lavoro avrebbe fatto delle indicazioni fornitegli dal RSPP, assume implicitamente di aver tenuto la condotta che gli si rimprovera di non aver tenuto.

Si tratta di prospettazione del tutto nuova, posto che con l’appello era stata censurata la sentenza di primo grado rappresentando che non sta al RSPP procedere all’identificazione dei rischi, che il DVR aveva considerato il rischio connesso all’operazione di sostituzione delle cinghie, che egli non aveva ricoperto il ruolo di RSPP, che non potevano sovrapporsi i compiti di quest’ultimo e quelli del datore di lavoro, che il comportamento del lavoratore aveva determinato l’interruzione del nesso causale.

La Suprema Corte afferma che non sussiste alcun travisamento della prova documentale, avendo la Corte di appello correttamente letto i documenti prodotti dalla difesa; sia quello nel quale si distinguono le tre attività e le interne fasi di lavoro, che quello nel quale si indicano i rischi connessi alla sostituzione delle lame delle macchine operatrici. Da tali atti emerge che la manutenzione era prevista per tre fasi tra le quali non c’era la sostituzione delle cinghie, che il rischio di schiacciamento era previsto solo per la lavorazione “sostituzione delle lame delle macchine operatrici”, risultando così confermato che non era stato valutato il rischio connesso alla sostituzione delle cinghie.

Le pertinenti valutazioni della Corte di appello, secondo la quale sarebbero mancate sia l’individuazione delle misure da adottare (divieto specifico per gli operai di effettuare interventi di manutenzione) sia l’individuazione dei soggetti competenti per l’intervento, appaiono quindi non contraddette da tali documenti e argomentate in modo non manifestamente illogico.

In relazione al fatto secondo il quale il sig. P. era stato individuato dal RSPP quale unico addetto alla manutenzione, la Cassazione fa presente che la Corte di appello non ha negato il dato formale che depone nel senso indicato ma ha rimarcato l’assetto effettivo delle operazioni di manutenzione. Si legge nelle testimonianze di F.J. e di F.A. che quando si verificavano problemi di funzionamento dei macchinari “si dovesse richiedere l’intervento del responsabile della manutenzione sig. P. solo in caso di un intervento che gli operai non riuscissero a fare da soli”. La corte distrettuale ha dedotto che “il funzionamento dello stabilimento era affidato in caso di assenza del sig. P. alla prudenza e alla discrezionale scelta dei dipendenti tra l’operare direttamente l’intervento di manutenzione, ove possibile, e il richiedere l’intervento del collega designato per la manutenzione” .

Già in passato la Suprema Corte si era pronunciata sulla responsabilità del RSPP affermando che tale soggetto, pur svolgendo all’interno della struttura aziendale un ruolo non operativo e gestionale ma di consulenza, ha l’obbligo giuridico di adempiere diligentemente all’incarico affidatogli e di collaborare con il datore di lavoro, individuando i rischi connessi all’attività lavorativa e fornendo le opportune indicazioni tecniche per risolverli, con la conseguenza che, in relazione a tale suo compito, può essere chiamato a rispondere, quale garante, degli eventi che si verifichino in conseguenza della violazione dei suoi doveri (Sezioni Unite sentenza n.38343 del 24/4/2014, Rv.261197; Sezione IV, n.49821 del 23/11/2012, Rv.254094).

La Cassazione ha anche precisato che il RSPP, pur in assenza di una previsione normativa di sanzioni penali a suo specifico carico, può essere ritenuto responsabile, in concorso con il datore di lavoro o anche a titolo esclusivo, del verificarsi di un infortunio, ogni qual volta questo sia oggettivamente riconducibile ad una situazione pericolosa, che egli avrebbe avuto l’obbligo di conoscere e segnalare, dovendosi presumere che alla segnalazione avrebbe fatto seguito l’adozione, da parte del datore di lavoro, delle iniziative idonee a neutralizzare tale situazione (Sez.IV, n.32195 del 15/7/2010, Rv.248555).


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