È grande crisi per il mondo delle imprese edili, molte gare di appalto sono deserte a causa del rincaro delle materie prime e piuttosto che lavorare in perdita molte decidono di bloccare i lavori, nonostante le penalità.
Pandemia, Superbonus, Guerra in Ucraina. Il rialzo dei prezzi delle materie prime è esploso negli ultimi due anni mettendo in crisi le imprese edili, un settore che vale il 5% del Pil nazionale. Dalle strade, alla scuole, al Pnrr - oltre 100 miliardi, quasi la metà dei 220 miliardi complessivi di tutto il piano nazionale - è allarme per i rincari. Mancano risorse economiche e materie prime che vengono consegnate in ritardo. Diventa così necessario riorganizzare il piano e le spese. Alcuni lavori vengono posticipati, quelli già cominciati, con un costo stabilito prima della crisi, sono molto in ritardo.
Sono tantissime, infatti, le gare d’appalto deserte perché per le imprese diventa impossibile sostenere un aumento dei prezzi quasi a cadenza quotidiana. La validità di un preventivo non supera i tre giorni e approntare un’offerta economicamente sostenibile non è fattibile preferendo così disertare per non “rischiare” di vincere la gara. Se ciò avvenisse si lavorerebbe in perdita.
L’imprenditore ha così davanti a sé due strade, continuare a lavorare rispettando il contratto o bloccare le attività. Entrambe le scelte conducono a circostanze infauste: nel primo caso una lenta agonia che porterebbe al fallimento, nel secondo caso si andrebbe incontro a diffide e cause legali da parte del committente.
L’aumento, anomalo e imprevisto, dei prezzi non rientra tra le cause che permettono di accedere alla cassa integrazione, strumento previsto dalla legge per superare situazioni temporanee di difficoltà.
Il rincaro per alcune materie prime supera il 70%, il legno anche del 78%. Il tavolame per i ponteggi costava 280 euro al metro cubo, adesso 500 euro. Il costo del ferro è passato da circa 1.05 al chilo dal fornitore a 1,60, per non parlare del cemento e del calcestruzzo. Nel caso dei nastri in acciaio per le barriere stradali si arriva ad un rincaro del 113%.
Secondo Gabriele Buia, presidente dell'Ance, «i rincari delle materie prime sono ormai insostenibili per tutte le imprese del settore delle costruzioni. Se la situazione non cambia non resterà che chiudere, una impresa che lavora in perdita è una impresa che chiude. Conviene sospendere i cantieri e poi sarà il giudice a stabilire se è giusto o corretto applicare o meno le penali. Ma non posso credere che il governo voglia far fallire le imprese. Sarebbe un danno enorme per lo Stato perché si fermerebbero opere pubbliche e tutto l'indotto».
L’aumento dei prezzi delle materie prime mette in crisi anche grosse città come Milano che, tra materie prime, luce e gas, spenderà per l’anno in corso il doppio di quanto pagato nel 2021. L’energia è fondamentale nei cantieri stradali per comporre il conglomerato bituminoso. Le imprese di costruzione pagano l’energia elettrica 70 centesimi al chilowatt, mentre prima era quotata 20 centesimi. Il gas è arrivato a 280 euro a megawattora, mentre prima toccava i 30 euro.
«Ho circa tre cantieri che sto cercando di non far partire - afferma Fabio Fiori, titolare della Fiori Costruzioni Snc e presidente del collegio di Ance Ancona - perché non ci stiamo dentro con i prezzi. Avevamo fatto delle offerte per le materie prime secondo determinate quotazioni, poi è schizzato tutto alle stelle. Quindi ci troviamo con cantieri che dovevano avere dei margini di utilità e che invece adesso si attestano sul 30-40% di rimessa».
Si assiste a un vero e proprio paradosso: le imprese che fanno di tutto per non iniziare i lavori. Il tutto contribuisce a creare uno stato di difficoltà e incertezza che si sta pesantemente riflettendo sulle imprese che già cumulano, nella gestione dei cantieri, i vecchi aumenti con i rincari energetici. E a differenza della prima ondata oggi l’impatto non è tanto sui cantieri da avviare ma sui cantieri in corso con un fronte gestionale molto complesso.
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